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09.02.2011 - Prostituzione - Dopo il caso dei due trans malati che avevano 600 clienti al mese
MILANO - «Non lo posso nascondere, a volte ho rapporti sessuali non protetti. E ho un permesso di soggiorno "per malattia"». Sul passaporto si chiama Rosario, a Milano è Alicia, viene da Pesquiera, villaggio a 200 chilometri da Recife. Racconta di essersi prostituita la prima volta a 13 anni, «per aiutare mia madre, la adoravo». Alicia ha l'Aids da molti anni, cerca clienti in strada, li incontra nel suo monolocale. Dice: «Perché gli uomini vengono con noi? Noi siamo il relax e il divertimento puro». Nelle pieghe di queste avventure notturne, sulle strade di Milano, scorre sotterranea la coscienza di una sfida alla sorte, portata all'estremo quando un cliente chiede un rapporto non protetto. È complicato mettere in relazione diretta le statistiche e la realtà che emerge da alcune operazioni delle Forze dell'ordine. Delle undici persone che contraggono il virus dell'Hiv ogni giorno in Italia, ad esempio, due vivono a Milano. I viados fermati dai vigili qualche giorno fa per essere espulsi (provvedimento poi negato dal magistrato, perché i due sono in cura) sono sieropositivi. E ricevono circa 300 clienti al mese.
Sotto il nuovo grattacielo della Regione Lombardia c'è una delle «piazze» storiche della prostituzione per i viados sudamericani, dove si mescolano il sesso per soldi e i rischi del contagio. Dall'altra parte della città, all'ospedale Sacco, lavorano i medici di uno dei reparti di Infettivologia più all'avanguardia in Italia. È lì che molti viados (decine) vengono curati. Ed è l'unico osservatorio dal quale si può individuare il confine sottile tra pericolo reale e allarmismo. «Il dato fondamentale - spiega Massimo Galli, professore di Malattie infettive dell'università di Milano e primario dell'ospedale Sacco - è che le moderne terapie abbattono in modo significativo la carica virale e quindi anche il rischio di trasmissione. Gli ultimi studi scientifici, ad esempio uno su Vancouver, lo confermano: più persone fanno il test, più aumentano le diagnosi precoci e i pazienti in trattamento, meno sono le nuove persone contagiate. Le terapie riducono la carica virale sia nell'individuo, sia nella comunità». La conseguenza sembra evidente: la marginalità sociale, o la paura, a volte il disinteresse, che spesso tengono lontani i viados dalle strutture sanitarie, aumentano in modo esponenziale il rischio di contagio per i clienti.
A Milano si prostituiscono circa 250 transgender di origine sudamericana, poi ci sono alcuni italiani, in numero minore. Bisogna considerare che non tutte queste persone sono sieropositive, che una parte è in cura, che non tutte accettano rapporti non protetti. Alta, mora e orgogliosa dei capelli che le scendono sulle spalle, brasiliana di Recife, Isabel Da Silva ha scelto il nome d'arte Martha. Martha non è malata, ma racconta: «Ho visto molti amici morire, erano giovani. Si fa solo per denaro, per denaro alcune accettano rapporti sessuali senza protezione». Si stima che a Milano i sieropositivi siano tra i 9 e i 12 mila. Riflettendo sul quadro dei nuovi contagi da Hiv, l'assessore milanese alla Salute, Giampaolo Landi Di Chiavenna, ha spiegato: «La legalizzazione della prostituzione arginerebbe l'emergenza sanitaria. È sieropositivo ben il 50 per cento delle prostitute e dei transessuali della città. È necessario un maggiore controllo. Abbiamo registrato casi di contagio anche per bambini sotto i 12 anni e per una signora di 74, "vittima" delle avventure del marito». I medici hanno una responsabilità: arginare il rischio individuale e per la popolazione. Spiega Massimo Galli: «In questo senso l'intervento di maggior tutela è quello di riduzione del rischio attraverso la gestione terapeutica. Più casi vediamo, meglio possiamo intervenire».
I sieropositivi «clandestini» sono molto più pericolosi, per sé e per i clienti, rispetto a malati in cura. Le prostitute transgender sudamericane, di cui il professor Galli ha ascoltato le storie, hanno spesso subito abusi in età giovanile: «In molti casi - spiega il medico - parliamo di persone a cui l'identità sessuale è stata imposta nell'ambito di una grave marginalità sociale e non è una scelta di sessualità conforme alle proprie aspirazioni. In situazioni del genere è più facile finire sulla strada». Una prostituta transessuale, una volta, ha detto al medico: «Non ho mai avuto la libertà di scelta, di capire come fossi veramente».
Michele Focarete e Gianni Santucci
04 febbraio 2011
Fonte: Il Corriere della Sera
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