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25.05.2009 - Il paziente con l’Hiv e l’incubo del segreto professionale

dottor Ovidio Brignoli
dottor Ovidio Brignoli

MILANO - «Dottore, lei è un incompetente, un incapace, uno stupido, non sta curando mio marito»: così la moglie al telefono. Lui, il marito, un imprenditore edile di 47 anni, si era presenta­to qualche tempo prima (proprio su pressione della consorte) all’ambulatorio del dottor Ovidio Brignoli, suo medico di famiglia, in un paese alla periferia di Brescia. L’imprenditore aveva raccontato i suoi sinto­mi in ambulatorio: un malessere che durava da tempo, stanchezza profonda, perdita di peso di una decina di chili. La visita non aveva detto mol­to e così si era passati agli esami di laboratorio. I risultati avevano segnalato una importante ridu­zione dei globuli bianchi (quelle cellule del san­gue che servono a difendere l’organismo dagli agenti infettivi, ndr). Il medico ha un sospetto, richiama il suo pa­ziente (che conosce da vent’anni) e lo interroga sulle sue abitudini sessuali. Alla fine lo convince a sottoporsi a un test per l’Hiv, il virus dell’Aids. Risultato: positivo. Appena il paziente lo sa, spari­sce. Così Brignoli gli telefona più volte e alla fine va a cercarlo a casa: lui non si fa trovare, lei, la moglie, lo accusa di nuovo: «Dottore, mio marito sta male, perché non gli dà un antibiotico?». Il medico sa qual è il problema, ma è tenuto al segreto professionale: non può parlare con nes­suno della malattia del suo paziente, né con la moglie (che potrebbe essere contagiata attraver­so rapporti sessuali non protetti) né con i due fi­gli maggiorenni (anche loro a rischio perché nel­l’ambito familiare si può trasmettere il virus at­traverso ad esempio l’uso comune di spazzolini da denti o di rasoi). Incassa i commenti della mo­glie, ma non può venire meno sia al giuramento di Ippocrate, che ha fatto appena laureato, sia a quanto prevedono il codice deontologico e la leg­ge che lo costringono a non violare la privacy del suo paziente.

PRIVACY - Obbligo alla privacy al quale, a un certo punto, viene meno con un collega, per ragioni di sicurez­za sanitaria. «Un giorno di agosto — racconta Ovidio Brignoli, che è anche vicepresidente della Società Italiana di medicina Generale (Simg) — mi telefonano da un ospedale della zona attorno a Brescia per dirmi che il mio paziente era stato ricoverato con un grave insufficienza respirato­ria e io ho informato i medici della diagnosi di Aids che avevo fatto cinque mesi prima. La situa­zione dell’imprenditore si complica poi con una meningite». Dopo un mese e mezzo, il paziente esce dal­l’ospedale: con la terapia si riprende e ricomincia a lavorare. La moglie continua a non sapere nien­te (anche se forse comincia a sospettare qualco­sa), ritorna dal medico per la ripetizione delle ri­cette con la prescrizione di farmaci antivirali dei quali il malato ha bisogno, chiede informazioni sulle condizioni del marito e Brignoli (sempre fe­dele al suo mandato di riservatezza) le chiede a sua volta: «Ma lei che cosa ne pensa?». La signo­ra non risponde, scoppia a piangere e se ne va: probabilmente ha capito, ma non vuole ammet­terlo neppure con il medico di famiglia che fre­quenta da venti anni. Anche perché in piccole re­altà locali dove tutti si conoscono è più difficile affrontare problemi come questo. La storia continua ancora. La moglie sembra consapevole, ma fa finta di non sapere e, soprat­tutto, tiene in piedi il matrimonio. L’imprendito­re grazie ai farmaci antivirali sta bene, continua a lavorare e a un certo punto ritorna dal suo medi­co: «Me lo prescriverebbe il Viagra?».
A. Bz.
Fonte: Il Corriere della Sera





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