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06.09.2008 - La diffusione dell'Aids in Europa? Tutta colpa delle legioni romane

E se fossero le legioni romane la causa della diffusione dell’Aids in Europa? Sembrerebbe assai improbabile, dato che l’infezione risale ai primi Anni 1980. Eppure questa ipotesi - sviluppata dal gruppo di Eric Faure dell’Università della Provenza a Marsiglia e ripresa dal settimanale «New Scientist» - è convincente. Essa ruota intorno a un gene, il CCR5. Anzi, alla sua variante delta 32 che, mancando di alcuni elementi del Dna, complica l’attracco del virus Hiv, di fatto impedendogli di entrare nei globuli bianchi. Le persone che nel loro patrimonio genetico hanno questa mutazione non si infettano facilmente e, se si infettano, sviluppano molto più lentamente l’Aids.

Chi sono queste persone? Dove stanno? L’analisi geografica della distribuzione di questo gene-scudo - che ha implicato lo studio di 19 mila campioni di Dna in tutta Europa - ha portato a una sorpresa: negli italiani, negli spagnoli e nei greci il gene mutato praticamente non esiste, la sua frequenza oscilla tra zero e sei per cento della popolazione. Ma più si sale verso Nord, più sale la frequenza: è nell’8-11 per cento dei tedeschi e dei britannici e addirittura nel 15 per cento degli europei che vivono in regioni dove l’impero romano non è mai arrivato. Ecco perché la suscettibilità all’Aids, andando a ritroso, potrebbe essere colpa di Giulio Cesare e delle sue legioni.

Il confine tra i popoli con un’alta o una bassa percentuale di CCR5-delta 32 nel loro Dna ricalca esattamente quello dell’impero romano, così come si è evoluto tra il 500 a.C. e il 500 d.C. Mille anni in cui i conquistatori - che avevano per natura bassi livelli di CCR5-delta 32 - hanno scorrazzato per l’Europa, si sono insediati stabilmente in alcune zone, sono stati respinti in altre. E insieme alle strade, ai ponti, agli acquedotti e alla passione per il vino, hanno portato anche qualcos’altro, che ha mutato il patrimonio genetico delle popolazioni con cui sono entrati in contatto.

La risposta più ovvia - hanno portato una mescolanza con le donne locali - è stata scartata dai ricercatori francesi. Secondo loro, è più convincente l’ipotesi di una malattia che colpisce i giovani in età riproduttiva, una delle grandi malattie infettive come la peste, alla quale chi ha nel suo Dna la mutazione CCR5-delta 32 è particolarmente sensibile. Una malattia che, decimando chi era portatore di quel gene, ha portato alla sua progressiva scomparsa nelle generazioni successive.

L’analisi francese dimostra chiaramente che le popolazioni che stavano al di là di quella Grande Muraglia che era il «limes», la linea di confine dell’impero romano - il Vallo di Adriano in Gran Bretagna, il Vallo germanico, il Vallo danubiano - e dunque non sono entrate in contatto con i romani, hanno potuto trasmettere nei secoli il CCR5-delta 32, con ciò fornendo ai loro discendenti uno scudo genetico che si è rivelato provvidenziale duemila anni più tardi quando, dall’Africa, è arrivato un virus quasi onnipotente. Che però contro la variante 32 poteva poco.

MARINA VERNA
Corriere della Sera






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